Fatti e personaggi del '900

IL FÓNDACO DI SAMBIASE E LE BOTTEGHE DEI FUNARO

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IL FÓNDACO DI SAMBIASE E LE BOTTEGHE DEI FUNARO

 di Raffaele Spada 

Il Fóndaco di Sambiase, piazza Matrice, l’odierno corso Vittorio Emanuele, è stato il centro propulsivo fino agli anni ‘60 del ‘900, ovvero la piazza principale e il perno della vita economica e sociale della comunità, caratterizzandosi come uno dei centri più in vista della Diocesi di Nicastro, grazie alla coltivazione e al commercio di prodotti agricoli. In essa si stabilirono le prime botteghe in concomitanza all’arrivo di nuclei familiari, tra questi la famiglia Funaro di origine ebree, cacciata dalla Spagna all’indomani della diaspora del 1492 assieme ad altri 300.000 ebrei, dopo aver soggiornato in Francia e nelle città di Livorno, Roma, Reggio Calabria e Scilla.
«Ancora prima che questo territorio - afferma lo storico Giuseppe Ruberto - prendesse il nome di San Blasium (dato dalla comunità Bizantina attorno al VIII secolo dell’anno mille), il suo etimo, secondo Gaetano Boca (Vena di Maida 1820 - Nicastro 1896, patriota e allievo di Settembrini), era “xhambàzi”, si legge giambasi in lingua albano-epirota (e perciò pregreca) e significa luogo di fiera, precisamente baratto di cavalli e animali da soma».
«Alla vitalità di piazza Fóndaco, per i commerci di pellame e per l’arte farmaceutica - specifica lo storico Ruberto – contribuì anche la famiglia di origine ebraica dello scrittore e poeta, Pasquale Funaro, autore del libro “La saga dei Cordero - Funaro”, sulle molteplici drammatiche intime sfaccettature, descritte nei diari ed appunti del passaggio delle generazioni dei Funaro».
Lo storiografo Ruberto, attraverso una sua appassionata ricerca documentale, si è inoltrato negli atti dei notai di Sambiase del 1700. «I Funaro – afferma Ruberto - sopra la piazza possedevano le loro case-palazziate; mentre “sulla piazza” o “sotto la piazza” le principali attività di guadagno, con le loro botteghe di conciapelli, calzolai, sartoria, speziali, cordai e funi, dal quale i Funaro presero quel cognome reso obbligatorio in Italia nel 1564 con il Concilio di Trento. La loro prima dimora nel 1601 è sulla via Cittadella (Miraglia), “porta del paese” al tempo della via Annia posta al nord; poi i discendenti abitarono anche nel rione Patelle Atrio II, via Ferruccio n. 65 (La casa palazziata appartenuta agli eredi del barone Horazio Fiore da Cropani – dove è ubicato il Luogo della Memoria, piccolo museo etnografico ideato dal professore Umberto Zaffina).
In quegli atti di compravendita vi era una delle figure più emergenti: Giuseppe Funaro (classe 1730), figlio di Francescantonio e Porzia Notarianni, il quale sposa Elisabetta Iannazzo, i cui eredi erano: Francescantonio, Nicola, Bruno e Gennaro. In modo particolare nel 1760 il Funaro Giuseppe è ascritto con il titolo di Magnifico Regio giudice a contratti (detto "mastro d'atti"), pubblico ufficiale i cui compiti, scrive lo stesso Ruberto, erano quelli di un moderno Cancelliere. Egli fu più intraprendente degli altri (dediti alle botteghe e alla campagna), si farà strada tra le maglie dei ceti notabili e classi altolocate del casale. Gli affari dei Funaro raggiugevano personaggi altolocati e commercianti della città di Napoli e la loro smisurata capacità finanziaria gli permise di comprare botteghe e finanche una farmacia».
Volendo rievocare un’epoca piena di vitalità «‘A Chj’azza», poesia di Salvatore Borelli (1930-2004), ci permette di rivivere l’atmosfera del Fóndaco con il brusio di avventori, venditori e banchi ripieni di primizie locali. «‘A Chj’azza». Ppi ddàmmu s’affendinu ‘i Stratillùati,/ chilli ‘i ‘ntr’’o Bràcciu o i Cafhardisi!/ ‘Un ddìcu, arràssu sia, ch’èranu ciùati,/ ma ‘a Chjàzza fhù llu salòttu d’’u paìsi!// Lla cci stavìanu ‘i ‘gnùri,/ i cavaliari e lli signurini,/ m’anzi pagliètti ‘i tanti culùri,/ putighi e putighìni/ ‘Nu mùarzzu ‘i paìsi staglàtu,/ ‘nu veru principatu!// Tìnìanu assissuràtu,/ ‘a caserma e lla ‘satturìa,/ sutt’’a gghjìasa c’era lla posta/ ‘ntr’’o palazzu ‘i ndon Giorgiu Maria.// Cumu è smimbràta ‘a chjazza!/ Tutt’ ‘i cosi ha pirdùtu!/ È cicàta e senza vràzza,/ ‘u salòttu è sciundùtu!

 

              Raffaele Spada (giornalista sul Quotidiano del Sud - redazione Calabria)

 Lamezia Terme, 31 ottobre 2022.

 

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