Il sublime sentire poetico

Zaffina Maria

maria

.......Come i grani di un rosario,profumati di incenso,di amore e di amicizia,scorrono i sentimenti e,spesso,come allegre cascate si rincorrono per unirsi ai ricordi più cari;le sue liriche,allora,invadono lo spirito,penetrano come in un trasperente cristallo il percorso del suo squisito pensiero,per inondare di sensazioni di pura gioia il profondo dell'anima....Prof.ssa Francesca Musumeci , Membro dell'Accademia Culturale d'Europa

…...I suoi versi facili,limpidi e scorrevoli piacciono e si leggono per cercare le umili cose di cui gli anziani abbiamo tanta nostalgia,per ravvivare i messaggi del buon tempo antico,onde poter appagare la nostra sete del bene perduto.Prof. Francesco Sisca

 

…...Le tue poesie mi aiutano a rasserenare l’animo.
Hanno il sapore delle cose buone e portano un soffio di aria pura e freasca
.Prof.ssa Luigina Parlati

 

I componimenti,che si snodano,tra aneliti spirituali e richiami a valori d’altri tempi,sono significativi nelle visioni esteriori,ma,soprattutto,in quelle interiori che spingono la protagonista a disgelare continuamente il suo animo senza filtri ipocriti e remore psicologicheProf. Vincenzo Villella

 

.......Leggo le poesie di Maria Zaffina e trovo refrigerio nello spirito tra semplicità di sentimenti,linearità di riflessioni,freschezza di immangini,colori delicati e leggere sensazioni,tanto buon senso,da rivalutare come virtù, discreta......Prof. Filippo D'Andrea

 

......La tua poesia salva i valori di un tempo passato,è la presenza quotidiana del pensiero di un'anima sensibile,non corrotta dall'ambiente nè dalle mode,su persone,cose,fatti e momenti di vita......Pasquale Funaro,critico letterario

 

Le citate epigrafe sono state tratte dal nuovo libro"Gocce di sole" della stessa autrice Maria Zaffina .

 

Lo scrigno dei pensieri Lo scrigno dei pensieri

Maria Zaffina, insegnante di Lamezia Terme, è autrice di una raccolta di poesie dal titolo "Lo scrigno dei pensieri".Un fatto che conferma ancora una volta come la coscienza riflessiva, la spiritualità e il profondo calore umano, riposti nel cuore di tanti figli di questa nostra Calabria, vengano fuori al momento giusto, nei luoghi più vari quali limpide e preziose gemme di cultura.Da "libero lettore-amatore" di poesia, ritengo opportuno sottolineare l'avvenimento ed evidenziare, con un quadro di lettura personale, l'efficacia e la vitalità del lavoro di questa Autrice.La raccolta si presenta in una veste pre-editoriale semplice, ordinata, molto chiara e rispecchia la natura stessa dell'Autrice. Semplice nella forma, dicevo, ma che stupisce per il suo contenuto vario e pregnante. I suoi canti sono "soste meditative", con le quali, partendo da particolari pur minimi e occasionali, Ella riepiloga o riflette su momenti intensi della sua vita, su affetti e sentimenti vissuti: i genitori, la fede, il paesaggio, le giornate di sole, le burrasche violente, il prossimo, la povera gente.In questo suo lavoro poetico, Maria Zaffina, è illuminata dalla certezza della fede cristiana, ma il suo cuore trova tuttavia lo spazio di una espressione sentimentale e romantica. Per ora Maria Zaffina ci ha regalato questo suo primo frutto della ricca potenzialità del suo cuore di donna, di maestra esemplare, di poetessa delicata e gentile: gliene siamo grati!
Sappiamo che la rosa fiorisce sempre; la poetica di Maria Zaffina fiorirà ancora.

Notizie tratte dalla prefazione del libro" Lo scrigno dei pensieri" curata dal critico letterario Pasquale Funaro

 

 

Lo scrigno deí pensíerí
Suggella il silenzio
i segreti pensieri
e con discrezione
al cielo li affida.

Le stelle li legano
con fili d'argento,
la luna li fascia
con bianchi merletti,
il sole vi spruzza
i suoi raggi d'oro,
il vento poi dondola
questo tesoro.

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Un gioco durato tanti anni
Un paio di scarpe col tacco alto
troppo grandi per me,
un vecchio cappellino ed una borsa di pezza
che mi arrivava fino ai piedi.
Due file di sedie in mezzo alla stanza,
vuote naturalmente,
ma io con la mia fantasia
vi vedevo sedute tante scolarette
col grembiule nero e il colletto bianco.
Di tanto in tanto agitavo una bacchetta
e la sbattevo sul tavolo
gridando "silenzio!"
E parlavo, parlavo
andando su e giù tra le file di sedie
leggevo ad alta voce il mio abbecedario,
mentre la mamma mi guardava divertita.
Dopo tanti anni
il mio gioco di bambina divenne gioco vero,
magico, difficile gioco,
che ora è finito.

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A mia madre
Quanto mi è dolce ricordare ancora
il tempo in cui la mamma
con ansia aspettava il mio ritorno da scuola.
Per la casa tutta si spandeva
il profumo del pane appena cotto
ed il braciere colmo
scaldava la stanza e le mani intirizzite.
Com'era bella la mia mamma allora!
Ed era ancora più dolce il suo sorriso
quando ormai stanche avea le membra
per gli anni e per il lungo penare.
Sempre era a dar consigli antichi e saggi
che raramente puoi dimenticare.
È lei che ci ha iniziati alla preghiera,
a Dio, alla Chiesa, alla bontà,
a dare con amore a quello che non ha.

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Mio padre
I sarmenti secchi
sul fuoco crepitante
sprigionavano faville che
allegramente si incuneavano
nel camino annerito.
Nei giorni di pioggia,
per passatempo,
mio padre, fumando la pipa,
intrecciava canestri
coi rami flessibili del salice,
scavava piccoli tronchi d'albero
e, con maestria,
ne ricavava cucchiai
o mortai per pestarvi il sale.
Ogni tanto scaldava al fuoco
le sue mani arrossate
e intanto, fiero d'esser stato bersagliere,
mi raccontava della grande guerra
ed io, incantata e attenta, lo ascoltavo.
Uomo all'antica era mio padre,
non conosceva svaghi né vacanze
e quando a sera ritornava a casa
quasi sempre, per me, qualcosa aveva.

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Sei... (a Pietro)
Sei il sole che mi illumina ogni giorno
sei la roccia dura e resistente
sei la sabbia mobile entro cui mi perdo
sei il saggio che mi guida in una strada senza curve
sei la colonna che mi sostiene e mi adorna
sei il bambino tenero e capriccioso
sei l'anziano che sfida inesorabilmente
il tempo che passa.

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Pe r la morte del fratello Domenico
Dopo tanto soffrire
te ne andasti.
Te ne andasti in silenzio,
inaspettatamente,
un mattino di Giugno,
quando il grano dorato
aspettava d'essere mietuto
e le giornate belle ed assolate
prendeano il posto dell'uggiosa stagione.
E ricordo ancora
il dolore muto di mio padre
e il viso straziato di mia madre.
Una madre non dovrebbe mai
veder morire il figlio,
specie nel fior degli anni.
L'immagine allora, un po' sfuocata,
del Cristo e di sua Mamma
ai piedi della Croce
come film mi passa nella mente e mi consola.

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Morire in terra straniera (a mia sorella Rosa)
Terribili giorni d'angoscia
misti a speranza.
La mente oltrepassa l'oceano
e vola lontano
nell'altro emisfero.
E vede il volto sbiancato
che implora ancora
l'aiuto dal cielo
per un momentaneo sollievo.
Uno sguardo ai tuoi cari,
un pensiero al lontano paese natio,
poi alfine la pace.
Torna l'anima in cielo
da quel Dio cui hai sempre creduto,
riposa il corpo
in quella terra straniera
che mai hai amato.

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La Chiesa Madre
La gradinata esterna ormai consunta,
la porta grande con le porticine
che s'apre solo per le grandi feste
e Nicotera da anni lì da presso
par che faccia la guardia notte e giorno.

Dentro, i banchi nuovi e allineati,
con sopra scritto i nomi dei defunti,
han rimpiazzato ormai le vecchie sedie
dove per poche lire un tempo, ognun sedeva.

Tra quegli antichi muri incorniciati
e le colonne belle e maestose
ove regna sublime tanta pace,
i ricordi mi tornano alla mente:
il catechismo, la Cresima, la Prima Comunione,
le figlie di Maria, le processioni.

Le statue dei santi lì sempre le stesse,
oh quante volte, giovinetta ancora,
nei bisogni con preci l'invocai!
Ora sommessa l'invoco ancora
e come a vecchi amici chiedo aiuto.

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Paese mio
Terra di gente laboriosa e onesta,
terra di poveri e di ricchi,
di disoccupati e di mafiosi.
Terra dal mare azzurro
e dalle colline coltivate a ulivi
che le fanno da corona.
Paese dalle viuzze strette
dove è possibile sentire il profumo
della cena frugale della casa accanto,
dove si accende il braciere
che emana l'odore delle bucce d'arance.
Paese dove ancora si vegliano i morti,
paese ospitale e festaiolo
dove si fanno le lunghe processioni con la banda.
Paese dei palazzi
e delle tante macchine che inquinano l'aria
un tempo salubre,
paese grande come una città.

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La valigia di cartone
La mamma e la sposa
premurose
preparavano la grande valigia di cartone
mettendovi di tutto,
dai fazzoletti all'olio,
acciocché giunto nelle lontane e sconosciute terre
non avesse a soffrire ancora.
E, legata ben bene con una cordicella,
giaceva in una angolo della casa
fino al giorno della partenza,
quando, col viso imperlato di lacrime amare,
dato l'ultimo abbraccio e,
lanciato uno sguardo fuggente a tutto e a tutti,
l'emigrante andava.

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Al mio paese non ci sono píù...
Al mio paese non ci sono più l
e vecchiette che filano la lana
dinanzi agli usci,
le donne che cullano i bambini
dondolandosi sulle sedie
e cantando antiche nenie.
Nelle viuzze non c'è più il buon odore
del pane e dei fichi secchi
che cuociono nel forno;
non c'è più nell'atmosfera settembrina,
il profumo zuccherino del mosto.
Non ci sono le donne
che lavano il bucato sul greto del fiume
e sciorinano i panni al sole,
sui cespugli e sulle siepi incontaminati.
Non ci sono le serenate alla donna amata.
E, a sera, non ci sono più
file di carri odorosi di fieno e d'erba,
che tornano dai campi,
frotte di ragazzi che, allegramente,
si rincorrono nelle strade poco illuminate.
Non ci sono più i vicini
che ti danno una mano al momento del bisogno.

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Strade
Stradine strette di paese
tra vecchie case che quasi si baciano,
che non vedono mai il sole
e perfino i respiri delle persone
nella notte s'odono.

Strade testimoni
di gioia e di dolori,
dove aleggia soave
il profumo dei garofani
che spuntano dai secchi
logorati dal tempo.

Strade di città spaziose
distanti e rumorose,
con l'odore ripugnante
della polvere e degli idrocarburi
che le case e l'aria,
i fiori ed i polmoni imprégnano.
Strade con gente avara di sorrisi
che veloce corre e il prossimo suo ignora.

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Quando per le terre io vado
Mi si rallegra il cuore
quando per le terre io vado
degli avi miei.

E tutto quanto io vedo
di lor mi parla:
le grandi querce, le piante degli ulivi,
gli ubertosi frutteti,
il vecchio casolare ormai in rovina
coi solidi palmenti e il torchio ligneo.

C'era gran festa allora per la vigna
quando bambini si andava per i filari
a portare l'acqua nelle fresche brocche
per dissetare dei vendemmiatori le arse bocche.

E a sera, scalzi,
gioiosamente si pigiava l'uva
assieme ai grandi
e di vermiglio mosto e appiccicose bucce
le agili gambette avevi.

 

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Il Canto della speranza ''Raccolta di liriche'' Il Canto della speranza "Raccolta di liriche"

Quelle di Maria Zaffina sono impressioni, si, ma non sono solo l'effetto di una realtà esterna, in quanto, pur essendo motivate da un fatto, da un ricordo, da un sentimento affettivo, momentanei, esse scaturiscono da un substrato preesistente nella sua coscienza, accumulatosi nel corso di una vita riflessiva e spiritualmente serena. In questa sua ultima raccolta di poesie Ella ha raggiunto una maggiore tenuta letteraria perché si è posta su un piedistallo più marcato, più caratterizzato, se non nell'azione, almeno nella volontà di fare e nella determinatezza di azioni personali più partecipi e incisive.
In queste sue nuove liriche Maria si evolve, alza la testa e guarda in faccia al mondo con tutta l'interezza e la dignità della sua persona, riesce inoltre a dare frammenti autentici di emozioni e momenti di riflessioni profondi, istintivi, ancestrali come se fosse spinta da un codice superumano, precategorico, che la costringe a intervenire sulle vicende umane.La poetica di Maria Zaffina è una poetica completa nei contenuti e armonica nella forma. Il linguaggio è sempre semplice, ordinato, scorrevole, di una forma a modello unico, quasi stereotipo. Una scrittura asciutta, priva di accorgimenti linguistici. Maria Zaffina è una poetessa dolce, matura e riflessiva degna di essere ascoltata e letta!
Come ben dice il poeta Francesco Sisca: " che non è un poeta o uno scrittore chi non cerca di dare qualcosa all'anima e chi non s'impegna di aiutare gli altri a ripensare e riflettere."

Notizie tratte dalla prefazione del libro" Il Canto della speranza" curata dal critico letterario Pasquale Funaro

 

Speranza.
Tu che giaci in un letto d'ospedale
spera.
Tu che da tutti sei stato emarginato,
perché drogato o handicappato,
spera.
Tu che il lavoro non hai trovato
e la disperazione ti tormenta
spera.
Tu, il cui pensiero é stato calpestato
dagli ignoranti,dai superbi e dai potenti
spera.
Tu che piangi sopra il dolore altrui
spera.
C'é per tutti un lume di speranza,
sará sconfitto il male
e in tutti prevarrá sapienza e amore.
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Accettarsi.

La tristezza, la noia,
le cose mal riuscite,
i sogni svaniti,
i dolori, i cattivi pensieri,
fanno parte della vita:
se hai la forza
di accettarli
ne uscirai vincitore
altrimenti prima o poi
ti annienteranno

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Rancore.

Quante volte
se offeso e vilipeso
l'odio ti prende
ed il rancor si accende!
Poi meditando un pó
l'ira si placa
ed il rancore scema,
fare altro male
non ne val la pena.

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L'invidia.

L'invidia, che è il peggiore
dei vizi capitali,
se in te si insinua,
ti fa la vita amara.

Vorresti avere i soldi che ha l'amico,
la casa come quella del vicino,
il posto di lavoro che hai sognato.

No, non logorarti l'anima per questo,
se sei persona onesta
se hai nel cuor l'amore
ringrazia sempre Dio
per quello che ti dà
e non avere invidia
di ciò che l'altro ha.

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Le mie poesie.

Amo le mie poesie,
frutto della mia gioia,
della mia tristezza,
della mia solitudine,
della nostalgia e dei ricordi.

In qualunque momento
una penna e un foglio di carta:
è poesia.
Semplice, non artificiosa, non sublime,
che importa:
è l'anima, sono i sentimenti miei
che si proiettano come raggi di sole
e illuminano la mia
e (spero!) l'altrui mente.
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zaffina

 

Festa della mamma 2003

Oggi, mamma,
ti guardo in una foto
incorniciata,
sei sorridente
e bella come sempre.

Ti invoco nei momenti
brutti e belli,
chissà se puoi sentirmi
e di me puoi occuparti ancora.

Eri fiera di me
te ne ricordi!
Per quel po' di sapere
che io avevo.
Ma a chi lo devo?
A te, o mamma,
dotta senza istruzione
intelligente e arguta senza presunzione.

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zaffina

Mio padre.

Mio padre
di poche parole,
ma di ardito senno
forte e fragile nello stesso tempo.
Le pensava tutte
per poter ricavare qualcosa
dal nulla.
Mio padre educato, buono
da essere capito
e basta.
Mio padre
grande inventore
senza riconoscimenti,
agronomo eccellente,
astronomo non acculturato,
guerriero senza gloria.


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Quel rumore nel silenzio.

Ti alzavi molto presto
la mattina;
piano, piano
senza far rumore.
Non volevi svegliarmi,
ma ugualmente sentivo
le scarpe chiodate
posarsi lievi
sui gradini delle scale
e l'odore del tabacco della pipa,
unico tuo svago,
m'inaspriva le nari.

Con la mente poi
seguivo
le tue quotidiane fatiche.


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Piazza Fiorentino.

In questa nostra piazza detta
"a villa"
si erge di Fiorentino
il monumento, l'illustre che a Sambiase
ha dato onore e vanto.

San Francesco di Paola gli è accanto
pronto a sedare
con il suo bastone
ogni eventuale lite o discussione.

Contadini, operai e letterati
sono gli animatori
di questo teatro
aperto sia d'inverno che d'estate.

I vecchi seduti alle panchine
si narrano le gesta giovanili
e intanto, se una bella donna
passa
tagliano e cuciono
a più non posso.

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La Santa Croce
"Santa Cruci ti viagnu a bidiri
ccu dua tuvágli ti viagnu a stujári
una di linu n' áutra d' amúri
Santa Cruci ti viagnu, a bidiri"...
Cosí cantavano tutti a gran voce
quando si festeggiava la Santa Croce.

La capanna era fatta di coperte
e adornata coi bei fiori di Maggio,
statue di Santi e lumi accesi
su un altarino
avvolto da preziosa tovaglia
della dote.
Per tre giorni rosari e canti
sí susseguivano senza interruzione
per concludersi poi a notte fonda
con faló, gare e divertenti giochi.

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La “credenza”

Ricordo il quadernone nero che "u putigaru" *
teneva sotto il bancone
e lo tirava fuori
al momento opportuno:
era il quaderno della "credenza" **
con intere pagine
scritte a caratteri nitidi
con il pennino intinto nell'inchiostro.

Arrossiva il cliente
ogni volta che gli diceva
"segnate"
mentre l'altro
gli faceva capire con gli occhi
che era tempo ormai
dì saldare il debito
altrimenti gli avrebbe preso
la casa o il podere.


Sui vecchi scaffali intanto
campeggiava un cartello
con su scritto:
"Si fa credito solo
ai novantenni
accompagnati dai genitori".

* il negoziante di alimentari
* * credito o debito.

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Il bacio compromettente.

Una corte assidua, morbosa
ma lei non lo vuole.

Poi una mattina di Domenica
é pronto all'oltraggio:
aspetta che esca dalla messa
e la bacia sulla gradinata
davanti a tutti,
a tradimento.

Ora è compromessa,
nessuno se la sposa,
o io o nessuno!

La notizia corre di casa in casa,
che vergogna!

Sono finiti quei tempi
grazie a Dio!

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L'illegittimo

La scena si ripete più volte
davanti agli occhi dei vicini:
il bambino in fasce
è deposto sul gradino
della porta del padrone.

La moglie di lui
che non c'entra nulla
con le malefatte del marito,
lo riporta sul gradino
della porta di lei
che è povera
e non può crescerlo.

Cos ì "1'illegittimo"
resta con la mamma,
ad ogni costo,
che lo nutre
con il "pane cotto"
e la farina lattea
che le dà il comune.

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Due cuori e una capanna.

In un locale al piano terra
c'era di tutto:
il letto, "il bagno"
e perfino il maiale
e le galline.

Si cucinava fuori
all'aperto,
e se improvvisa
la pioggia scendeva
il pranzo o la cena
te li scordavi.

Non c'era lusso
in quella dimora,
ma forse c'era
tanto amore.

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Matrimonio per procura.

Si può combinare
questo matrimonio,
lui ha mandato la foto,
è un bel giovane,
bravo e lavoratore:
all'estero si sistemerà bene
la ragazza!

Così si sposa per procura
e poi parte
pur di non lavorare la terra
e di non andare
alla "giornata".
E' sicura che farà
una vita migliore.

Ma oltreoceano
l'aspetta la "fabbrica",
un altro clima
un'altra lingua,
un uomo che forse
non amerà mai
o che farà finta di amare,
per non tornare indietro.

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Le vedove bianche.

Americhe: paradisi sognati
da chi ha poco o nulla.
"Vado io a tentare la fortuna,
tu resta coi bambini"!

Varcato l'oceano
dopo le prime lettere,
addio famiglia!

E le "vedove bianche" non si contano.
Che fare?
Ci sono anche i vecchi
da mantenere,
loro non hanno la pensione.

Si va alla "giornata"
"sotto padrone
o a lavare il bucato
ai ricchi "speculativi"
e mai contenti.

Di "lui" intanto
più nessuna notizia,
ma il "panno rosso"
rimane, solo
per incutere rispetto.

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Donne.

Donne sole senza amore
donne amate
donne di spettacolo
donne manager
donne di strada additate
ma pur sempre donne
donne vittime di soprusi
donne in un convento di clausura
donne nonne
che recitano rosari alla Madonna
donne mamme
senza onorificenze
donne creature speciali
che giá da un pezzo
hanno annientato Eva.

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Donna del Sud
Disobbedendo ai tabú
di donna del Sud
mi libro quale aquila
in volo
incurante
dei tiratori scelti.
Li schivo con maestria
e poi vittoriosa
mi ergo sul trono
per essere donna
libera
e basta!

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Le poesie in vernacolo di Maria Zaffina

 

Poesie sono tratte dal libro “Lo Scrigno dei pensieri”

 

I vicini ‘ì casa dì na vota

Quantu rispettu e quanta stima avianu
'nta sta ruga 'na vota li vicini;
'nta gioia e 'nto duluri ti vidia;
s'impristavanu 'u pani, 'u sali, l'uagliu
e puru milli liri, s'accurria.
Ti guardavanu puru u quatrariallu
si alla campagna tu avia 'cchi ffhari;
e Ila sira, quandu pua ti ricuglìa
biallu pulitu tu fhacianu ajhari.
Parica siantu ancora a Catarnuzza
chi grida ccu Ila fhiglia picirilla:
"Madonna 'Ndulurata 'cchi fhacisti!"
E cummari Nugenza allu maritu:
"Madonna mia du Carminu
rumpisti sta buttiglia!"
E c'era 'na signora
'ca a chiamavanu "A Catanzarisa"
ca i guai da vinella tutti illa apparava,
'nghizzioni, durci, luci, funtani, e pranzi i ziti.
Mò nun c'è 'cchiù armunia 'nta sta vinella,
guagluni 'cchiù un si 'ndi sentinu jucari;
i randi quasi tutti u Signuri l'ha chiamati,
i giuvani sanu spusatu
e chisà 'nduvi su jjuti!

 

I guagliuni í mo'

Na vota, quand'eramu guagliuni
e nunn'aviamu nenti ppi Ila capu,
putiumu diri ch' eramu fhilici
eppuru un fhaciamu nenti di spiciali:
na passiata, allu cinima,
na jucata alla corda, allu palluni,
a tocc'ontocca, allu pizzicu,
allu strumbulu e nnu giru,
ma no supra na vespa o a muturetta,
ma supra nu carruacciu o a bricichetta.
Mo parinu arraggiati sti guagliuni,
i mammi nenti cci fhanu mancari:
i vistiti firmati, a motu e llu buanu mangiari,
eppuru, un sacciu mancu cchi bbò diri,
teninu tutti a crisi esistenziali.

 

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Poesie tratte dal libro “Gocce di Sole”

 

A ninna nanna.

"E ninna nanna
ninna ninnarèlla
u lupu si mangiàu
lla picurella,
e viani sùannu
viani e nun tardàri
ca u picirìllu mia
vodi durmìri".
Cantàvanu li mammi
verzu a sira
supra `na seggiulilla sgangaràta
chi jìa avanti e arrìatu
ppi fhari l'annacàta.
Nissunu cchiù
mo annàca quatrarialli
o canta ninne nanne
quandu è sira;
cci sunu i ciancianìalli
supra a culla
chi fhanu addurmintàri
i quatrarialli.


I fhuntanelli.

Dua thuntanèlli antichi,
c'ancùnu avia cacciatu
di nduvi èranu stati ppi tant' anni
ppi cci mintini chilli ammudirnati,
stavìanu queti queti
`nta tanti cosi vecchi ammunzillàti,
dintra nu magazzìnu cumunàli.
Na notti chi nissùnu li sintìa
a nnu mumèntu si mìsiru a parràn:
'oh soricèlla mia, ha' vistu cc'hanu fhattu?
N'hanu cacciatu di li megli via,
a nnua c'ogni passanti avìmu dissìtatu!"
Ti ricùardi quantu varrìli e vozzi,
cutrùmbuli e buttìgli c' amu chj ìnu !"
Iùamu e notti d'agènti atturniàti,
di chiàcchiari, di risi e di fhimmini accapigliati.
Pirò ha' vistu a fhini c'hanu fhattu
sti fhuntàni muderni?
Quali è rutta, quali hanu tirata,
quali `agenti un la vìdinu
e passanu diritti,
pirchì pari nu munumèntu senza scritti.


A spuntuniara.

Giràndu nt'è rughi di Cafhàrdu,
d'a Miràglia e di la Craparizza
hàiu vistu tanti casicèlli tutti chiùsi:
si vidi ca non sunu cchiù abitati,
l’erva allu purtuni cci ha nisciùtu
e ancùna grasta rutta allu barcùni
nun teni cchiù né pampini né juri.
`Na vota èranu chini di quatràri
squazùni, arripizzàti, ma cuntìanti,
`sti vinillùzzi d'u paisi mia!
Mo tanti su emigrati ppi llavòru:
allu Nordu, alla Mèrica, all' Ustràlia
e d 'i ritràtta lùaru
nd'è chjìna a vitrata
di `na vecchia spuntuniara.

 

Chjovi.

Chjovi, chjovi, chjanu chjanu,
senza vìantu, senza trona,
l'acqua scindi e nun fha danni
vagna casi, strati e panni.
`Nu guagliùni si ricrìa,
`nta `na gurna sguazzarìa,
`un s'importa ca si vagna
e d`a mamma `un si ndi spagna.
Unn'ha scarpi, né quaziatti
ma è fhilici e assai cuntiantu.
Nu guagliùni d'atri tiampi!

 

Tiampi `i `na vota.

A mamma allu cantu d' a vrashèra
ccu manu sberti e ccu fhiarri lucènti
fhacìa, na vota, quazìatti e maglicèlli.
I fhigli picirìlli graziùsi
`n terra, supra l' àstricu assittàti,
cunzàvanu `na rota allu carruacciu
o jìanu cuntàndu ccu Ili manu
u tùaccu e gallinèlla zzoppa zzoppa.
U patri supra a sèggia ripusàva,
ogni tantu i guardava e si prijava,
ma u suannu d' a stanchìzza cci calava.
Mo `mbeci a sira, assittàti allu divànu,
tutti `ncantàti guàrdanu a ttivvù:
nùtizii brutti e buani si `ndi sèntinu,
cci sunu i quizzi, i sciò e lli telefirmi,
ma i guagliuni un ci sunu:
`intra `un cci stanu,
u passatìampu lùaru è lla palestra,
a discoteca e Ila sala giochi.
Patri e mammi pinzirusi assai
aspettanu i fhigli m'arrivani di fhora
e ogni tantu vanu suspirandu
"eranu miagli i tiampi di `na vota!".

 

U divòrziu.

Na vota, quandu un c'era
llu divòrziu,
nissunu si dassava.
Si l’ùaminu era malu,
vacabùndu e mbriacùni,
- pòvara fhìmmina! –
ccu dillu avìa di stari
e mai avìa ragiuni.
Mò è tuttu cambiatu
e c'è lla parità:
appena `nu marìtu aza lla vuci
a muglièri amminàzza
e si ndi va.

 

Cumu vulera...

Quantu cunzìgli e raccumandaziòni
chi mi fhacìa `na vota ogni mumentu!
Ma era guagliuna e nun t'ascurtàva,
pinzàva a jucàri tandu iu.
Mo pàrica ti siantu arriatu `i mia
chi mi ripìati ancora i stessi cosi
"nun ti prioccupari mamma cara,
l'haiu siguìti li cunzìgli tua!"
Cumu vulèra c' ancora m' i dicissi !
Subitu t'ubbidèra e senza mossi.


A nuvena d'a `Mmaculàta, `na vota.

Cchi biantu thriddu mina stamatina!
Ma un pùazzu fhari à menu
mu vàiu alla nuvèna:
l' hàiu `ncignàta ccu tanta divuziòni
ppi unuràri la Vèrgini Maria
e a tutti i costi a vuagliu cunchiudìri.
Nun mi `mporta d'u fhriddu
e di lu scuru,
u sacciu c"a Madonna
m' accumpagna,
mi piglia di la manu
e iu un mi spagnu.
A gghjisulilla è tutta alluminàta,
è cchjna `agenti,
`a missa è cuminciata.
Sugnu cuntènta assai
c'haiu fhattu a matinata,
speciarmenti quandu
di l'organu accumpagnati
cantàmu tutti nzema
"oh Concetta Immacolata".

 

Nota:
E il ricordo di una funzione profondamente sentita,un tempo,alla quale mia madre partecipava portando anche me. L’inno “Per Maria SS.Immacolata” che si cantava e si canta ancora durante la messa è attribuito a Francesco Fiorentino.

 


A jettatùra(1)

A Carmìnella, ch'è sempri pipirìta,
è tuttu u jùarnu chi cci doli lla capu,
a mamma, tutta quanta prioccupàta,
"fhiglia - cci dici - t'hanu affascinatu!".
Davèru, oh mà, po' esseri davèru,
ca stamatìna, quandu haiu nisciutu
a fhiglia d' a cummari haiu affruntatu:
mpena m'ha bistu m'ha guardatu tutta
e ccu lla vucca aperta ha rimanutu.
"Viani sùbitu ca ti vùagliu alligiriscìri
e llu malùacchiu ti vùagliu caccìari,
unn'ha sirvùtu a nnenti c' amu misu
tutti stì pezzi russi allu barcuni !
Nu comicìallu t'hàiu d'accattàri
si putimu stà jettatùra assicutàri".
Si c'è chi dici
c'a sti cosi un cridi,
nun vi fhidati:
quandu nesci e bidi ca c'è ancunu chi `u
guarda
minti sùbitu a manu `nt `a sacca
e fha lli corna.

(1) Credenza popolare di una volta.
Purtroppo ci credono molti ancora!

 

A giràndula.

`Na fhimmìna canùsciu `i sta vinèlla
chi perdi tiampu di matìna a ssira
parràndu mo ccu chista mo ccu chilla.
I fhatti d'u paìsi `i sa tutti illa:
chini si spusa, chini s'ha dassàtu
e chini ha nisciùtu e ccumu hanu chiamàtu.
A sira quandu arriva llu maritu
nun trova llu mangiari priparàtu
e nemmenu a casa rigistràta,
a trova nt' e cuvèrti `mbulicàta
e si lamenta ca cci doli lla capu.
U povaracciu a cridi e lla cunzòla,
cci vo fhari nu ttè o `na gagumilla,
pua stancu `i `na jurnàta di fhatiga
si mangia ancuna cosa e ba a durmiri.
A giràndula, ch'è bella ripusàta,
pensa a tutti `i chiacchiari
c' ha fhattu nt' a jurnata
e un bidi l' ura mu veni dumani
mu po' parrari ccu autri cummari

 

U cimiteru.

Cumu s'ha fhattu randi u
cimiteru nùastru!
Cappèlli novi novi e pitturati
e, si li guardi dintra,
oh cchi bellezza!
Tutti chjni di marmi lucitàti,
di juri fhrischi e finti,
di fhoti e statui 'i santi.
`Agenti fhanu a gara
mu sti cappelli
parinu cchiù belli,
e nun ti pua sbagliàri,
si ancùnu mùartu
`e' jiri a visitari:
u numi d' a famiglia
è scrittu randi e cchiàru
cumu si vi dicèra "sugnu ccà,
trasìti, vinìtimi a truvà".
Povari, ricchi,
là un c'è distinzioni,
stanu tutti `nzzema
e un fhanu discussioni.

 

A casa `i riposu.

Chisà pirchì a `nnu pocu `i jùarni
u vìacchiu era circundàtu `i primùri:
u fhigliu `u mbiziàva mu mangiava,
a nora i cirimòni cci vindìa,
i niputi, tutti meli, accarizzàvanu.
Pua `na matina l'hanu rigistratu,
troppu movimentu c'era a casa casa!
Illu si penza ca `u pòrtanu a niscìri
e nun s'addùna ch'a'nnu canticìallu
c'è nna valici chjna priparàta.
O `Pà, dici llu fhigliu a menza vuci,
a casa di riposu è meglia 'i cca:
t'assistunu a ogni ura e c'è cumudità.
U vìacchiu ciàngi, s'asciùca 1'ùacchi
ccu llu maccatùru,
i guarda ad unu ad unu
e dici ccu gran dualu:
"Si lla hàiu i jiri è mìagliu ppimmu mùaru".

 

U mundu è supra-sutta.

U mundu è butatu supra-sutta,
ognunu a modu sua fha jìri `a menti
e nun cci capiscimu propiu nenti.
`Un lu vidìti, tutti fhanu a guerra:
chini ppi la pulìtica e chi senza ragiuni,
A paci, chi s'accatta ccu dinari,
t'a pua scurdàri, si fha disidirari.
I ditti di l'antichi
nissùnu `i sta a sintìri
e d'u timùri `i Diu
un ndi sìantu cchjù parràri.